Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Dopo aver accettato un passaggio da uno sconosciuto, Lisa si risveglia in un cunicolo. Al polso ha un braccialetto con un conto alla rovescia: capisce subito che ogni 8 minuti il fuoco brucia una sezione di quel labirinto. Per sopravvivere, non ha quindi altra scelta che strisciare verso le parti sicure. Per scoprire perché si trova là e come uscirne, Lisa dovrà affrontare i ricordi della figlia morta.”
Vincitore del premio “Nuove Visioni” al Trieste Science+Fiction Festival 2020, Meander , del Francese Mathieu Turi ,si presenta con una carica adrenalinica da mozzare il fiato; un film claustrofobico e introspettivo dalla mille facce, capace di tenere alta la tensione dalle battute iniziali ai titoli di coda. Il talentuoso regista, classe 1987, arriva ai vertici di attenzione fin dai propri esordi; un operato (grazie ad una serie di interessantissimi cortometraggi) talmente vistoso da coprire il ruolo di Assistente alla Regia di Quentin Tarantino nel film di successo “Bastardi Senza Gloria” nel 2009, Sherlock Holmes – Gioco di Ombre (di Guy Ritchie) sempre nel 2009, Lucy (di Luc Besson) nel 2014 , arrivando finalmente al tanto atteso esordio nel 2017 con la pellicola Hostile. La particolarità dei propri operati è una spiccata sensibilità nell’affrontare i temi psicologici, infondendo una crudeltà spietata dall’apparente sentenza annunciata. Meander ,infatti, non fa sconti e segue esattamente il proprio pensiero attraverso una paralizzante opera a cavallo tra l’asfissiante persecuzione fisica, intervallata dalla continua metamorfosi psichica. Un lavoro che fa riflettere (a fine corsa), capace di spiazzare le menti del pubblico, rendendolo quasi partecipe del “gioco” mortale vissuto in prima persona dalla bravissima Gaia Weiss (protagonista della serie TV Vikings), un labirinto non solo circostanziale ma anche profondamente personale. La scomparsa della propria figlia ha portato, la nostra protagonista, ad una serie di pensieri autodistruttivi mai concretizzati. L’incontro con un automobilista segnerà, in qualche modo, il proprio destino in un circuito emozionale fatto di vie di fuga e scorciatoie per una forzata sopravvivenza. Meander si muove in modo ordinato all’interno di una struttura tecnologica degna del miglior escape room; la pressione psicologica di un timer al proprio polso scandisce, come un metronomo, il tempo a disposizione per proseguire al successivo obbiettivo. Tale gestione mantiene costante l’attenzione dello spettatore e non lascia vie di relax; ogni vicenda si sussegue dietro una corsa sfrenata contro il proprio destino. Quando il meccanismo di trama viene finalmente metabolizzato, ecco il colpo di coda che probabilmente inizia a farci rendere conto che non tutto è ciò che sembra e nuove sottotrame vengono esposte con grande disinvoltura. Le chiavi di lettura della pellicola possono essere molteplici e lo spazio interpretativo lascia lo spettatore ancora dentro quel sofisticato oggetto di tortura anche a opera conclusa. Mathieu Turi dimostra, ancora una volta, di essere tra i registi più promettenti del panorama, portando l’Horror ad un gradino di ingannevole gestione e riuscendo a plasmare la realtà degli avvenimenti a suo piacimento, non disturbando mai la narrazione e ,anzi, sfruttando questa come arma al proprio arsenale. In un epoca dove l’evoluzione e l’originalità è un fattore, il regista risulta capace di sapersi muovere silenziosamente in modo sofisticato ma costruttivo ed elegante. Al pari passo con una sorta di Sci-Fi, Meander raggruppa un articolazione ramificata in più sistemi nervosi, accompagnando la splendida messa in scena ad un apnea crudele che non lascerà il petto del pubblico.
STAB HORROR ITALY