Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Il film segue le vicende di Mina, artista di 28 anni, che si ritrova bloccata e isolata in una vasta e incontaminata foresta nell’Irlanda occidentale. Quando Mina trova un riparo, rimane inconsapevolmente intrappolata assieme a tre sconosciuti che ogni notte sono spiati e perseguitati da inquietanti figure.”
Il sangue, si sa, rimane fedelmente ancorato a radici solide difficilmente estirpabili. Il caso specifico dimostra quanto l’influenza artistica non risulti solo una componente aggiunta, ma vero e proprio spirito di tradizione quasi rituale ed alchemico. Nel corso degli anni siamo stati abituati a scoprire una sorta di ecosistema celato nelle profondità “del Genere” grazie alla brillante mente di un certo Manoj Nelliyattu Shyamalan (Sings,The Visit, The Village, The Sixth Sense, Knockt At The Cabin, Old, Umbrekable saga ect), segnando una forma di vita quasi indipendente e completamente scollegata dal panorama cinematografico mainstream (pur facendone parte) e regalando Opere che, piaccia o meno, hanno avuto un ECO di notevole impatto mediatico. Tutti conoscono i lavori del regista, ma in pochi sono a conoscenza che, nelle ultime produzioni, lo stesso, abbia avuto una spalla importantissima come aiutoregista per le produzioni della serie TV “Servant” e i già citati “Bussano alla Porta” e “Old” : la propria figlia Ishana. Il passo per l’indipendenza era, ovviamente, inevitabile e, grazie ad una creatività estremamente spiccata, arriva, per la giovanissima ragazza, il tanto atteso debutto in cabina di regia. The Watchers si presenta come rappresentazione visiva dell’omonima Gothic Novel (ancora inedita in Italia) di A. M. Shine; un tuffo dentro l’angosciante cammino verso l’ignota natura ed una mobilità assente e sofferta. Ogni frammento della pellicola chiude la protagonista (la sempre meravigliosa Dakota Fanning) dentro una sorta di circuito naturale senza apparenti sbocchi d’uscita e dove, l’unica salvezza, viene rappresentata dalla stabilità dentro uno strano edificio “occupato” da personaggi che, da li a poco, renderanno note alcune regole fondamentali : al calar delle tenebre dovranno rimanere immobili davanti alla lunga parete specchiata e mostrarsi ad un “particolare” pubblico. Una dinamica che, di suo, mette in soggezione lo spettatore, regalando attimi di pura claustrofobia e sterzando su sottotrame che faranno da collante per i Character a schermo. Su questo fattore tutta la “scuola” Shyamalan premerà con grandissima violenza e non si impiega un altissimo minutaggio per capire la pericolosità di questa particolare struttura verso le menti dei protagonisti. Gli unici momenti di apparente quiete saranno confinati a pochissime ore diurne e si dovrà fare i conti con quel che il tempo sta portando al proprio fisico ormai dilaniato da questo nuovo stile di vita. Tutta l’atmosfera sinistra viene fedelmente applicata ad una narrazione scorrevole e senza particolari attimi di stallo, offrendo una dinamicità fresca e continua, correndo, così, sul binario del mistero come faro guida e lasciando spazio al pubblico di immaginare una via di salvezza sempre meno concreta. Ishana Shyamalan segue l’andatura del racconto con una potenza non propria ad una “debuttante al ballo“, sviscerando il passato tormentato di Mina (Dakota Fanning) come carburante di sviluppo degli avvenimenti e garantendo un paragrafo nascosto pronto a balzare nel momento meno atteso. Questa struttura funziona come cornice all’emblema catartico sotto la formula del tipico Horror d’annata, reagendo alle mode del momento con intelligenti stacchi di macchina (qui si evince una consapevolezza tecnica davvero formidabile) e offrendo pochissima visuale rivelatoria dove, la fantasia, porterà una chiave parallela in cui Cast e Pubblico viaggeranno sulla stessa frequenza cerebrale. Dettagli che sommati tra loro portano una storia oscura in cui cullarsi nelle fredde notti d’inverno (e qui è paradossale l’uscita nel mese di Giugno al cinema) come simbiotica empatia verso l’ambiente circostante : freddo, umido, odori e dislocazioni territoriali riescono a fuoriuscire dallo schermo senza tanta fatica, infondendo quella tridimensionalità necessaria per essere partecipe alle azioni che, man mano, iniziano a decollare verso il finale. In questa specifica e particolare “conseguenza“, però, rientra quel senso familiare tipico dei Shyamalan : utilizzare la chiusura come nuova apertura, versando benzina sotto un fuoco calante e (ri)immergendo la stabilità emotiva dello spettatore dentro un incubo non intenzionato a lasciare quello specifico Mondo. La rivelazione delle creature, infatti, risulta, non solo, uno shock emotivo ma anche caratterialmente vicino a quel senso di terrore tipico della paralisi del sonno, in cui non si può scappare o sottrarre e bisogna solo rimanere immobili ad attendere il sorgere del sole. Anche in questa occasione non si perde occasione di analizzare il fantastico mondo delle fiabe e di come, queste, vengano rimodellate nel corso delle generazioni; snaturando l’essenza di paura e, forse, reale leggenda legata al proprio passato ormai estinto. The Watchers è un titolo intelligente e che racchiude, nel proprio nome, tutto quel microclima generato dalla propria struttura, capace di giustificare le azioni che seguono la grammatica di scrittura sotto l’oscurità di una drammaticità quasi poetica. L’ideologia di
Richard Matheson sembra vivere sotto una sorta di tributo in cui, il male, potrebbe non agire sotto quella precisa lente oculare, ma come sopravvivenza ad un’estinzione bramante di rivalsa e/o riconoscenza, generando così l’ipotesi di un ciclo destinato a non concludersi dopo i titoli di coda. Le musiche, o meglio, l’assenza di Soundtrack (utilizzate solo su alcune scene cardine) sono un’altra intelligente trovata per immergere completamente la psiche dello spettatore dentro un contesto totalmente isolato, in cui la selvaggia natura si nutre dei suoni dei propri abitanti, chiunque essi siano, sbattendo le porte in faccia al perbenismo di uno schema Hollywoodiano attento a mantenere costante l’andatura di mercato tradizionale (o tradizionalista) : Ishana Night Shyamalan si impone con grinta per regalare un prodotto tanto semplice quanto articolato nella sua struttura organizzativa, gestendo i tempi come un perfetto metronomo senza strafare in autocelebrativi assoli virtuosi. La Computer Grafica è utilizzata solo quando necessario, dando grande risalto all’aspetto narrativo a discapito di quello puramente e prettamente visivo e, questo, può considerarsi solo che un enorme punto di svolta verso l’Horror creato con criterio e cognizione di causa. Dakota Fanning , Georgina Campbell , Olwen Fouere e Oliver Finnegan aiutano la regista a confezionare un qualcosa capace di non passare inosservato, dando prove attoriali di altissimo livello e mai sopra le righe. Atmosfere, sentimentalismi nascosti, azione e una sana dose di tensione sono le carte vincenti di questo lavoro; ovviamente non privo di difetti e magari fin troppo anemico; che porteranno la giovanissima regista sotto quella curiosità futura di scommessa sulla quale puntare.