Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Nel mezzo del Mediterraneo, c’è un’isola dove la popolazione è estremamente longeva e vive la propria vita pacificamente, senza paura della morte.
Per questo motivo BLU, il bellissimo angelo della morte, è insoddisfatto del suo lavoro e cerca in tutti i modi di aumentare i suoi poteri, per poter beneficiare nuovamente del suo potere e sopraffare gli abitanti del villaggio.”
Un angelo della morte si sforza di riscoprire la gioia nel suo lavoro, nonostante il fatto che la sua casa sia un’isola rinomata per la longevità dei suoi abitanti. Con queste premesse si apre la narrazione del viaggio guidato dalla giovanissima Michela Anedda dentro un territorio ricco di mistero e leggende come la Sardegna. Blu , titolo del cortometraggio e nome della protagonista, assume i contorni di fiaba oscura dove la contemporaneità si mescola con la fantasia, accennando risvolti melodrammatici indispensabili alla riflessione dietro un acerbo sorriso. L’opera, completamente animata in StopMotion dona, allo spettatore, una sorta di equilibrio sentimentale nella quale è facile il rimando Burtoniano, caratterizzato da location totalmente sbilenche e circondate da un’aurea esteticamente accattivante, capace di assorbire ogni colore dentro il Dark più elegante. Il magnetismo del Cortometraggio viene dettato da tutti questi micro fattori assemblati sistematicamente con lo scopo di catturare lo sguardo del pubblico, reagendo alla società moderna con “fare” tradizionale, dedicando un tributo territoriale attraverso piccoli accenni folkloristici che spaziano dai costumi, agli usi, strumenti musicali e caratterizzando, con grandissimo stile, un’appartenenza fiera che non ha paura di mostrare il proprio volto e, specialmente, non nasconde la conciliazione con le radici del proprio territorio. Le azioni della protagonista sembrano indirizzate, quasi sfondando la quarta parete, verso un grido sociale dove tutto viene esposto come specchio di una società ormai stanca e quasi priva del proprio tempo (routine estenuanti e giorni apparentemente tutti uguali volti al solo svolgimento lavorativo), distribuendo, al proprio interno, un senso quasi di incompiuto dove, non sempre, la concretizzazione dei propri risparmi esaudisce una sazietà dell’anima in modo esaustivo e appagante. Blu ha un piccolo sogno e cerca in tutti i modi di arrivare al suo obbiettivo, anche se ciò comporta enormi sacrifici e continui crampi allo stomaco. Questo senso di rinuncia (anche dello stesso cibo) portano l’opera dentro un’oblio fin troppo crudo dove, spesso, non si dedica abbastanza attenzione e dove la già citata contemporaneità buca lo schermo con delicata prepotenza. Le urla soffocate dentro sospiri e profonde occhiaie saranno il motore che guideranno la nostra protagonista nel compiere le funzioni di “angelo della morte” in un’isola dove i corpi non hanno intenzione di lasciare la propria dimora. Anche questo aspetto è, ovviamente, collocabile con le difficoltà (attuali) di una società priva di sbocchi lavorativi, rendendo ogni frame un faro capace di duellare con il parallelismo. Le animazioni, realizzate dalla regista sono supportate da un grande lavoro di scultura del team di Studio Croma Animation, che semplificano e alleggeriscono tutto questo senso di malessere grazie ad un design quasi grottesco, capace di stabilizzare l’emotività in un confine etereo e, paradossalmente, spensierato. Questa “strana coppia” funziona perfettamente e non è semplice riuscire a gestire le emozioni visive con quelle narrative e ciò fa di questo Blu un prodotto incredibilmente vincente dove la sensibilità ondula come un’altalena le cui funi sembrano fissate su una luna tanto luminosa e raggiante quanto triste per solitaria assenza di nuvole avvolgenti. Le sequenze animate iniziali giocano con lo spettatore, rendendolo partecipe al gioco dei ricordi (intro di Bewitched – arrivato da Noi in Italia come “Vita da Strega” nella seconda metà degli anni 70 ne è un chiaro esempio) e dove le televendite notturne la facevano da padrone in ogni emittente privata, mostrando una capacità espressiva e tecnica ampiamente sopra la media e recinta l’opera di una professionalità accattivante dove sarà difficile rimanere indifferenti.
Presentato in vari Festival nazionali e non, il cortometraggio (Zena Film) ha la durata necessaria per riuscire ad empatizzare con ogni creatura realizzata completamente a mano (su concept di Jessica Esteve), rendendola quasi parte di noi stessi e dove, ancora una volta, l’arte si mette al servizio del pensiero come collante di ragionamento profondo e sincero.