Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Italia, 1813. Un piccolo borgo italiano è scosso da inspiegabili episodi violenti che sembrano accadere ad ogni plenilunio: un animale selvatico sta uccidendo il bestiame e i contadini sono disperati.”
Le voci dell’oscurità echeggiano dietro una pietra scolpita dal tempo, all’interno di una notte ricca di foschia, con agitati movimenti dettati da un vento incessante, capace di scandire i rintocchi di una campana funerea insensibile nel provare dolore. Su questo tappeto emotivo si scuote questo bellissimo racconto Gotico diretto da Ambra Principato; una “figlia” della notte che non nasconde la forte passione per il grande cinema Horror del passato, applicandola nella Propria Opera : Hai Mai Avuto Paura?. Il lavoro, prodotto da RedVelvet Vision Distribution e distribuito sui canali CG Entertainment, racconta una storia fatta di paure e misteri, mascherando il sentimentalismo familiare dentro difficili relazioni capaci di ramificarsi in sospetti sempre più sinistri e inquieti. La giovane regista (classe 1983) applica il fascino della luna sotto una lente che ha lo scopo di avvicinare l’occhio umano verso qualcosa raggiungibile solo sotto una serrata fantasia difficilmente spiegabile a parole se non si dispone della giusta dose di sensibilità. L’attrazione verso l’ignoto, verso quel piccolo angolo buio dimenticato dalla luce naturale, rimane fedele ad una narrazione perennemente impostata sulla ricerca, scolpendo gli avvenimenti che corrono a schermo con una cadenza lenta e altamente piacevole alla vista, complice di un reparto tecnico attento che non dimentica i dettagli e, anzi, valorizza gli aspetti nascosti dentro un Thriller tanto psicologico quanto dinamico e romantico nella propria crudeltà tristemente evolutiva nelle viscere di una trama capace di rivelare, con il contagocce, ogni necessario sviluppo. Questo perenne senso di “celato” nasconde, a sua volta, ovviamente un passato oscuro di una Casata il cui senso di responsabilità grava sul piccolo paese, testimone di brutali attacchi da parte di una bestia non definita, gettando nel panico gli abitanti e la reputazione stessa dell’alta “Borghesia Regnante”. Tutti questi aspetti, sommati tra loro, hanno la fortissima capacità di amplificare l’attenzione dello spettatore verso il classico gioco del sospetto, arricchendo (ulteriormente) la costruzione grammaticale della storia non lasciando mai il pubblico in disparte, rendendolo addirittura quasi complice in prima persona. La già citata conoscenza del “genere” (o dei generi se includiamo le velate citazioni a G.Leopardi nel volto di alcuni dei protagonisti e fonte di raccolto del romanzo Io venìa pien d’angoscia a rimirarti di Michele Mari) rispecchia fedelmente quella volontà di portare avanti un discorso iniziato da Roberto De Feo con il suo incantevole The Nest (VideoRecensione al Seguente Link), riscoprendo il Gothic Horror e facendolo riemergere dalle lagune di un tempo purtroppo abbandonato allo sguardo più “vendibile” del mercato attuale, infrangendo, in tal modo, una corrente radicata all’immediato e regalando una vera opera dove l’interpretazione è al servizio di un linguaggio visivo fortemente evocativo, dove il tempo è segnato solo ed esclusivamente dalle fasi lunari. Il ciclo che nasce e tramonta è uno strettissimo parallelismo dove ogni protagonista riesce a dare il proprio supporto : dalla figura autoritaria come il conte Monaldo (interpretato da David Coco), dall’aspetto claustrofobico e schiavo religioso nella figura della contessa Adelaide (Marta Richeldi), alla purezza adolescenziale di Orazio e Pilla (rispettivamente Lorenzo Ferrante e Elisa Pierdominici) a quella che possiam definire una distorsione temporale di Giacomo Leopardi nel volto di Giacomo (interpretato meravigliosamente dal talentuoso Justin Korovkin e già conosciuto dal pubblico proprio con The Nest) fino ad arrivare a personaggi tanto di contorno quanto utili a delineare un cammino progressivo come lo zingaro cacciatore Scajacca (Mirko Frezza) e la rappresentazione dell’amore in Silvia (Sveva Mariani portata come ovvio rimando a quella musa Leopardiana) ; ognuno con il preciso compito di traghettare la storia dentro contesti tanto differenti quanto imprevedibili per realizzazione conclusiva. Proprio il reparto attoriale ha la grandissima capacità di unire, in un unico organico, una perfetta sincronizzazione con il settore fotografico, amalgamando una poetica messa in scena dove non si può rimanere indifferenti. Il comparto fotografico, infatti, riesce a cogliere le brevi caratterizzazioni dei singoli Character pur non rivelandone introspezioni dall’alto minutaggio, dando risalto solo ed esclusivamente a ciò che di utile può esser servito sulla tavola abilmente (e poeticamente) allestita. La componente Horror assume le forme di pilastro portante, non includendo facili costumi organizzativi rivelatori, tutt’altro : Hai Mai Avuto Paura? cerca di mantenere le dinamiche del minimalismo, conoscendo i propri limiti e ricamando un abile stratagemma per rendere tutto ampiamente misterioso dentro giochi dove neanche lo sguardo, in terza persona, dello spettatore può arrivare a conclusioni anzitempo. Il film, fino all’ultimo minuto, infatti, ha l’enorme capacità di offrire piccolissimi spunti risolutivi, non dando importanza alla classica spiegazione utile ad un pubblico generalista e distratto; il film è rivolto alla fedeltà dell’attenzione e prendendo a piene mani l’autorialità della contemporaneità del Web (David F. Sandberg su tutti) ricamandone un terreno proprio, dove i raccolti devono essere lavorati con un sentimentalismo proprio della passione. Le meravigliose musiche di Pasquale Catalano recintano il prodotto verso qualcosa che raramente si ha il piacere di vedere e che, ancora una volta, mette il punto esclamativo sulla territorialità di un argomento non troppo battuto nello specifico genere e che riesce a portare in alto, con orgoglio, un Tricolore, da menti fresche, giovani e rispettose di un passato capace e consapevole di aver fatto scuola in tutto il mondo.
Un Film che ridefinisce la Poesia sotto l’arte del Cinema moderno, mantenendo la purezza della storia sotto l’acidità di temi sociali sempre attuali.
Neptune Gennaio 8, 2024
Complimenti per la recensione che mostri sia la cultura sia una grande sensibilità del recensore. Peccato, però, che come in quasi tutte recensioni cinematografiche, la stragrande parte del pezzo sia dedicata alla (e si legge come) un assaggio di un pezzo letterario. Non é tanto lontano, seppur non altrettanto eclatante, dal recensire un balletto principalmente nei termini di trama, facendo solo degli accenni relativamente brevi alla messa in scena, decorazioni, il maestro di danza… e poco o quasi niente ai ballerini.
Sarebbe bello se queste proporzioni fossero invertite. Più ci sono i mezzi/”mediums” impegnati nella produzione di un pezzo d’arte, e più questo pezzo si allontani da un saggio accademico, meno conta “cosa” e più “come”. E il cinema è indubbiamente un genere che coinvolga la più grande diversità di mezzi di tutti gli altri generi creativi. Quindi, non mi sembra affatto esaustivo né esplicativo recensire un film principalmente dal punto di vista del contenuto letterario.
Neptune Gennaio 22, 2024
È stato un piacere di leggere questa recensione per almeno due motivi:
È una vera recensione cinematografica (e poche lo sono: in maggioranza sgarrano recensendo un film quasi esclusivamente come on pezzo letterario).
Implicitamente riconosce che “art est celare artem” , cioè, in questo caso, un buon film horror non si appoggia mai su jump (io li chiamo “cheap”) scares e non galleggia su fiumi di sangue. Il fatto che ha capito Tony Scott conio suo capolavoro “The Hunger”, alcun regista giapponese, e, fortunatamente, la Principato e il De Feo …. ma non la maggioranza dei registi sia americani che italiani. Non è colpa interamente loro: seguono il mercato particolare dove sia Mr. Smith che il sig. Rossi mentono a se stessi perché in verità non vogliono essere veramente terrorizzati in profondo: vogliono essere meramente spaventati.
Quindi, complimenti.