Articolo a Cura di | Alessandro Pesce
“Susana, modella spagnola che vive in pianta stabile a Parigi, riceve inaspettatamente una telefonata da cui apprende che la nonna Pilar ha appena avuto un ictus. La ragazza è molto legata all’anziana, essendo cresciuta con la stessa dopo aver perso da piccola i genitori, pertanto è costretta a catapultarsi a Madrid per accudire la nonna ora inferma. A causa della sua condizione mentale, però, Pilar sembra non riconoscere la nipote, e se inizialmente appare come una persona mansueta e indifesa, col passare del tempo lascia emergere le sue vere sembianze, tutt’altro che innocue. “
Quando il connubio Spagna / Horror diventa più che una certezza, ecco arrivare, grazie a Midnight Factory, uno dei marchi già definibile come Cult di Nuova Generazione. La conferma che l’Horror d’autore è più vivo che mai viene messa in scena da Paco Plaza (Rec) in un film che sviscera il genere e lo riassembla dentro un corpo tutto nuovo, fatto di quel declino inesorabilmente spietato che non guarda in faccia al tempo. La Abuela assume i contorni di una vera forma del male, capace di assorbire tutto al proprio interno; un modo accarezzato da lunghissime sequenze di narrazione, evidenziando quanto l’attesa sia, al contempo, l’attesa stessa di un qualcosa nascosto da sempre dentro l’inconscio e pronto a saltare fuori come un predatore affamato. L’eleganza è la base di una fazione di pensiero comune, sia alla trama, quanto (e forse anche più forte) alle immagini che corrono (e si rincorrono) dentro lo schermo, nel profondo di un reparto attoriale perfettamente coinvolto nel ruolo e capace di gestire gli spazi chiusi; anzi, più ci si sposta verso l’esterno, più il sentimento che ostruisce le vie respiratorie si fa più pressante. Un controsenso che va di pari passo con l’andatura della pellicola, perennemente impostata su dilatate briciole volte allo scopo di dare frammenti di vita ad un timerunning che non stanca mai lo sguardo. La Abuela è la storia della vecchiaia, la storia dove ogni individuo è costretto dover affrontare prima o poi senza nessun diritto di replica; offrendo uno sguardo dentro l’animo di quel demone alla quale non si può dir di “No”. Il vero male del Mondo è rappresentato nell’abisso di uno specchio sempre impostato sul giudizio personale, fin troppo critico nella maggior parte delle occasioni, dettato da rughe sempre più accentuate e da richiami verso la fine dei giorni con fare fin troppo lascivo. La morte attende lo spirito con accenni e anticipazioni proprio su quelle piccole strade nella pelle, strade che raccontano il cammino dell’uomo (o delle Donne in questo specifico caso) senza giochi di maschere d’inganno. A farne le spese, di questo tortuoso viaggio, le due protagoniste : Almudena Amor e Vera Valdez. Alla prima il compito di abbandonare ogni situazione di vita vissuta e/o lavorativa in ascesa, alla seconda quella di essere schiava di una condizione fisico/mentale inappropriata all’indipendenza. Se a ciò aggiungiamo una componente oscura e un passato tutto da scoprire, ecco agire IL genere nel suo Habitat Naturale. Paco Plaza è preciso su ogni millimetro a sua disposizione, collocando indizi sopra ogni fotogramma con grande senso di estetica (ecco tornare l’eleganza) e cura nel (e come) gestire il reparto sonoro. La Abuela non richiama temi musicali centrali, anzi, approfondisce quel senso di vuoto aumentando al massimo il volume dell’introspezione del “niente“, togliendo la percezione terrena e portandola dentro un qualcosa che sfiora il pensiero Lovecraftiano, miscelando la scuola Polanskiana con spiccato interesse e curiosità di originalità sulla propria struttura, volutamente ricercata per scavare dentro un pensiero che va oltre il proprio limite naturale. Anche l’Italia gioca la sua parte, prendendosi i meriti di tributo alle aule di quel Dario Argento tanto caro alla rappresentazione “paranormale” (o meglio, grazie alla passione di Daria Nicolodi) vista sotto l’occhio di una Stregoneria mai troppo analizzata e, anzi, tenendo segrete moltissime sue forme occupando la mente libera di quella interpretazione necessaria per tenere in sospeso ogni fiato. La Abuela cerca di nascondere questi meccanismi con il medesimo taglio, equalizzando una frequenza che lascia intendere, ma non rivela con spiegazioni volte a dover dare, necessariamente, una logicità specifica alla trama. Questo alone di mistero inizia fin dalle prime battute di girato, coinvolgendo il cervello del pubblico più attento sotto un riflettore che promette una chiusura di coincidenze con lo stesso finale. La simbologia del cerchio della vita, infatti, risulterà essere una grandissima conferma e, proprio su questo, tutto il significato interno del racconto. La pellicola ha la brillante intuizione di spaventare lo spettatore esclusivamente nella sua poca esplicita rappresentazione di quel demone travestito, assecondando la realtà degli sviluppi su di una gestualità inequivocabile e che farà sprofondare l’improvvisa “nuova” inquilina sotto un giro di avvenimenti visionari altamente disturbanti. La paura stessa è vista come regime lenticolare verso l’abbandono della giovinezza e, come la regina d’Ungheria Erzsébet insegna, il rifiuto di questo stato; da qui l’alchemico intreccio di un passato appartenente all’occulto dove l’Horror prende il regime di comando. Chi si aspetta la classica sequenza di Jumpscare improvvisi, non troverà terreno dalla sua parte : La Abuela viene portato a video con l’intenzione di amplificare questo concetto, dando una nuova definizione allo spavento; un modo incredibilmente reale in cui il labirinto psicologico agisce nei modi più inquietanti ed immaginabili e fondendo, in un’ unica soluzione, la realtà con fantasia. L’oscurità è il raggio di movimento dove il maligno riesce a dare il meglio di se, garantendo una persistente costanza ad una Suspense impostata su altissimi ritmi, non diminuendo la pressione dall’acceleratore e provocando un vortice di domande dove ci si aspetta una risposta e che, come la scuola Horror Spagnola ci ha abituati, sappiamo già potrebbe non arrivare. Le ombre del sorriso sono accantonate da qualcosa di terribilmente provocatorio; momenti dove anche l’imbarazzo riesce a provocare delle reazioni concrete allo sguardo : non è certo una costante vedere un’attrice di quasi Novant’anni (Vera Valdèz) recitare (oltre che completamente nuda) un ruolo così ben caratterizzato ed interpretato. Il suo personaggio è inquietante il tanto che basta per tenere attivi tutti i recettori cerebrali, rimanendo completamente incantati dalla complessità esecutiva nel ricreare l’isteria emotiva che la avvolge con la sua quasi naturale spontaneità. Le battute finali riveleranno ogni piccolo componente di un puzzle perfettamente gestito su ogni reparto, spegnendo l’entusiasmo su di un lieto fine tanto assente quanto profondamente spietato per intenzioni.
La Abuela – Legami di Sangue è un dramma annunciato che mescola la grande capacità di saper mettere in atto tutti gli insegnamenti del buon cinema di genere, rendendolo interamente personale e profondo. Un Horror non Horror capace di terrorizzare la mente grazie al suo reale tema centrale dove solo la magia può ingannare l’inesorabile cammino delle lancette della vita.