Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“In un prossimo futuro, una società chiamata NOVA vuole nascondere sofisticati sistemi di controllo mentale dietro i suoi videogiochi.
Per fare questo, l’azienda si affida a Silver02, il loro miglior programmatore, che verrà a sua volta intercettato da Hacker ribelli che vogliono sventare il piano di NOVA.”
L’arte del sapersi rinnovare e cambiare pelle sotto una forma astratta ma funzionale è, probabilmente, una delle più grandi caratteristiche del cinema di Domiziano Cristopharo. La complessità e gli intrecci di trama lasciano sempre spazio ad un qualcosa che ha, come scopo principale, quello di lasciare qualcosa di concreto al cervello dello spettatore. La rappresentazione del futuro è messa sotto una luce al neon quasi accecante, riportando le emozioni del cinema sognatore, spesso incapace di essere credibile ma, al contempo stesso, abile nell’orchestrare una fusione di ragnatele plausibili che sfiorano l’orrore embrionale. Blue Sunset è l’alba di una generazione sconfitta dall’opprimente regime del Controllo Globale, fatto di sentieri creati per frustare l’inconscio e libero di agire sotto il dominio autorizzato. Carpenter, Scott e Lisberger vivono dentro questo ipnotico cammino verso una ribellione non sempre stabile e, anzi, proprio sull’instabilità basa il coraggio di narrare un qualcosa mascherandolo sotto falsi nomi e volti, accarezzando le ali di un’isola inarrivabile se attraversata con testa china. Domiziano Cristopharo affida queste urla di schiavismo ad un ennesima inversione di genere, destrutturando la grammatica della narrazione e affidandosi al semplice, ma complesso, utilizzo delle immagini e degli specchiati riflessi di allucinogena azione. Il “Rave Party” oculare è vivo fin dalle primissime battute, negoziando un patto con il pubblico diverso dal solito : l’estremo è lasciato in una piccola stanza, emergendo solo ed esclusivamente quando necessario, lasciando spazio di manovra ad una macchina elaborata per aprire le menti senza strafare in virtuosismi poco utili alla causa. L’impatto sonoro dell’ Original Soundtrack (Nachtstrom Schallplatten, Danilo Del Tufo) si muove in perfetta simbiosi sotto un BlastBeat visivo abile nel martellare il monitor come un metronomo perfezionato da pericolose lame taglienti , in modo tanto crudele quanto sapiente per senso di ritmo; infondendo così, non solo un’aspetto grafico di grande esplosività, ma regalando attimi di eccelsa gestione del reparto specifico. Ogni piccolo frammento dell’ “Androide Paranoico” interno all’opera ha la funzione di catalogare e spezzare gli interventi di una catastrofe annunciata, in cui la speranza non ha spazi di libertà; se non delle emozioni, diventate artificiali, come il sesso (cambiato anch’esso ma inculcato come unico attaccamento alla primordialità della sensazione) e la voglia di lasciarsi trascinare da un totale distacco tramite uso di sostanze tossiche; forte segno che l’evoluzione ( o involuzione del futuro) ha portato con sè , sia il dolce ricordo, sia l’autodistruzione vittima degli eventi. Questa drammaticità assume un retrogusto amaro; Uno sguardo in avanti non tanto speranzoso e purtroppo fin troppo attuale, viste le circostanze di una contemporaneità grigia come le luci della notte; offrendo al pubblico una visione tanto Cyber quanto Punk. Gli effetti del passato riflettono un presente non troppo sicuro del proprio cammino, in cui l’elasticità di pensiero sembra abbandonare la sensibilità di un corpo stanco ed emotivamente provato, portando l’opera dentro un sentiero asfissiante e claustrofobico in cui l’affaticamento muscolare sfonda la quarta parete con una fortissima presa. Blue Sunset è un viaggio dentro “IL” parallelismo in cui ogni aspetto è mischiato sotto una freddissima sfera fatta di Make Up old school, miscelata all’interno di una CGI non invasiva ed equilibrata alle circostanze che seguono lo schermo.
Un’Opera Sci-Fi che rigenera il Genere e scuote le menti su di un qualcosa in continua evoluzione e dove dimostra (se gestita a dovere) ancora una grande originalità.