Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Young-goon è stata cresciuta dalla nonna fino a quando quest’ultima non viene rinchiusa in un manicomio. La giovane ragazza rimane traumatizzata da questo evento e inizia a credere di essere un cyborg. Young-goon, successivamente, dopo aver compiuto un gesto estremo è anch’essa spedita in un manicomio con altre persone. In quel luogo incontrerà Park II-Sun: tra i due nascerà un’innata complicità, un aiuto reciproco e pure i sogni d’infanzia potranno essere accettati.”
Dopo alcuni anni di quasi totale anonimato (almeno su territorio Nostrano) arriva grazie a Midnight Factory il piccolo gioiello di Park Chan-Wook; Un film lontano galassie intere dall’Horror, ma tanto vicino al Thriller Drammatico per contesti, ambientazioni, sperimentazioni e specialmente articolazioni di movimenti posti su visionarie ipotesi di profonda coscienza interiore. I’m A Robot But That’s Ok non è solo un titolo, ma un vero e proprio grido sociale verso un NON distacco alla diversità; Un pensiero romantico che deve far riflettere e che penetra dentro il cuore con grandissima forza. La storia è diramata sapientemente dentro due archi narrativi dove, nel primo atto si affronta tutta la conoscenza dei protagonisti e dei propri disturbi su di un’ambiente inizialmente ostile, nella seconda fase, invece, la creazione della pura e semplice bellezza nell’essere in totale serenità con la propria empatia sfociando nel più brillante altruismo. Un Dramma che prende sul serio ciò che racconta, ma capace di strappare qualche sorriso per la genuinità di alcune dinamiche comportamentali; Fortissimo segno di una normalità non sempre riconosciuta dall’esterno. Queste componenti sono marcate da una prova attoriale al limite del teatrale, tipica della cultura Sudcoreana e affascinante per pratica esecutiva : Im Soo-jung e Jung Ji-hoon (meglio noto nel panorama musicale come Rain) applicano tutto il loro estro con una semplicità emozionale senza precedenti, riuscendo a catapultare il pubblico nel labirinto della propria psiche e trascinando la trama con grandissimo ritmo dove, le pause, sono semplicemente un modo per realizzare quanto visto. Potrebbe sembrare banale ma in fase di lettura questo aspetto è l’arma vincente del prodotto : Realizzare un pittoresco viaggio mentale, dando al pubblico il tempo di metabolizzare il devastante impatto delle immagini che corrono a schermo. Questo meccanismo viene posto dal regista durante la prima ora di visione in modo da creare la barriera tra realtà e follia come sorta di anticorpo necessario alla salvaguardia dell’entità Filmica, dando libero sfogo al sentimentalismo nelle sezioni finali in totale ruota libera come un forte vento capace di spazzare via ogni pregiudizio, fidandosi del proprio istinto e senza paura di essere risucchiati dalla corrente. Nella propria forma di pittoresca follia, I’m A Cyborg But That’s Ok è crudo e spietato come la lama di un coltello in forte esposizione; Non tralascia particolari e alimenta la curiosità dello spettatore scena dopo scena, creando quello strano senso di smarrimento dove catalogare l’operato non è affar semplice. Lo spazio esecutivo tecnico è magistralmente gestito sotto una fotografia e una scelta sempre azzeccata del reparto luci, trovando il giusto equilibrio tra gli ambienti (quasi sempre ristretti) scelti per l’occasione, garantendo una coerenza genuina e necessaria allo spettatore per immergerlo in prima persona dentro le mura della clinica psichiatrica.
Un Film agile nella propria forma fisica dentro una triste staticità di pensiero che riuscirà addirittura a lasciare un profondo senso di malinconia all’interno di una storia d’amore particolare ma sincera.
Un Opera davvero Sensazionale ed Emotiva.
STAB HORROR ITALY