Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Una ragazza tossicodipendente dà alla luce un bambino: per acquistare altra eroina, non ha idea migliore che vendere la sua creatura. Dopo essersi pentita della sua azione, farà tutto il possibile per riaverla, precipitando in un mondo oscuro e tenebroso popolato da alcune streghe malvagie che abitano in una grande casa in mezzo al bosco.”
Dalla geniale mente del regista Spagnolo Juanma Bajo Ulloa arriva in Italia un film che rompe completamente gli schemi dell’Horror; una pellicola capace di raccontare la drammaticità degli eventi attraverso l’uso del solo linguaggio visivo con una fiaba crudele e spietata. Rosey Day interpreta una madre in conflitto con i demoni della tossicodipendenza e dell’impossibilità del prendersi cura del proprio neonato. Baby si presenta al pubblico con una potenza fotografica degna del miglior dipinto, ramificando la trama sotto una tavola di colori capaci di mutare forma a seconda della location di girato. Il film muove i propri passi dentro un mondo non troppo immaginario, ricalcando ed evidenziando un tema sociale, riuscendo a mascherarlo in qualcosa di completamente originale. La totale assenza di dialoghi lascia completamente spazio di manovra al racconto, incalzando un ritmo paradossalmente veloce e tutt’altro che noioso, accarezzando la psiche del pubblico sotto rumori ambientali, dando un senso di smarrimento totale verso le immagini che corrono a schermo. “La stregoneria attraverso i Secoli”, intitolava il gran capolavoro del 1922 di
Benjamin Christensen; un punto di non ritorno capace di cambiare forma attraverso la storia del cinema con l’uscita di pellicole più disparate dalle trame più variopinte; ecco, Baby può tranquillamente collocarsi nell’ennesimo sviluppo di questo specifico genere, articolando un lessico non troppo digeribile ma che, una volta entrati nel mood, non abbandonerà più la mente del pubblico. Questa curiosa identificazione si rifa’ esattamente nella lettura del racconto in corso : una volta che la protagonista, in un momento di disperata reazione, si rende conto del catastrofico torto creato alla propria anima, non abbandonerà più il senso di rivalsa non solo nei confronti della piccola creatura venduta in un mercato illecito, ma anche di profondo senso etico nei suoi stessi confronti. Questo rispetto alla vita è una sottotrama molto marcata nonostante la facciata cinematografica identificata come una sorta di Fantasy Horror e rende il lavoro quasi etereo, prendendo a piene mani le crude sfaccettature direttamente dalle pagine di capolavori partoriti dalle menti di Lewis Carroll e Jacob & Wilhelm Grimm, dando però una forma completamente originale dove l’amore cerca di sopraffare al buio di una vita colpevole.
La bravissima Harriet Sansom Harris interpreta una strega del nuovo millennio, completamente inedita e che, nonostante l’assenza di una sillaba, riesce ad infondere carattere al proprio personaggio attraverso sguardi penetranti ed esplicitamente comunicativi. Al suo intorno troviamo una disturbata piccola famiglia composta da un eccentrica bambina (Mafalda Carbonell) e la bravissima Natalia Tena (Game Of Thrones, Harry Potter) nel ruolo di una disturbata e scorbutica Albina. Queste figure risultano, si, di contorno ma infondono la spiccata capacità di rendere la “Mother Witch” una personalità di grandissimo peso, dando al racconto un senso familiare riconducibile allo schema di Tobe Hooper, dove la psichedelia emotiva gioca una carta sempre maligna. L’introspettività di quest’opera raccoglie, da un terreno già fertile di suo grazie ad un montaggio esemplare, tutte le componenti della suspense più pura, offrendo protagonismo visivo ad ogni paesaggio portato a schermo. La casa “stregata” combina, infatti, tutti i meravigliosi aspetti di inquadrature, diventando teatro (e protagonista) del “gioco” al disperato salvataggio. Entrare della bocca del diavolo non è affar semplice e, ancor meno, riuscire a trovare una via di fuga. Quando il pentimento di atto osceno e meschino diventa il peggior incubo, l’amore inconsapevole di una madre si trasforma nella più feroce delle belve. Le musiche, così come le immagini cornice, vengono poste allo scopo di dare maggior epicità al racconto, intervallando silenzi assoluti ad improvvise impennate di suoni striduli e cacofonici, garantendo un distopico malessere primordiale che non abbandonerà mai l’attenzione del pubblico. Le battute finali chiudono le porte ad un lieto fine sperato, creando sul racconto stesso, un’ibrida creatura malvagia immaginaria e dando ancora una volta energia al racconto, portando ancora una volta il senso di reazione verso limiti inimmaginabili.
Baby di Juanma Bajo Ulloa è un piacevole viaggio dentro la follia umana; una fiaba oscura che gioca con la propria natura infantile, riportandola ad una presa di coscienza tutt’altro che banale. Un piccolo gioiello, distribuito da Midnight Factory, capace di entrare dentro la pelle grazie ad una spietata e incantevole gioia per gli occhi.
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