Ci sono storie che non dovrebbero restare sepolte (il termine non è casuale) ma che per ovvi motivi non possono essere più raccontate dai protagonisti con la loro viva voce, ma noi, come se fossimo dei moderni Indiana Jones, e anche un po’investigatori della Scientifica, potremo farlo per loro attraverso gli epitaffi sulle loro tombe. Sicuramente ogni cimitero avrà le sue storie, perchè quelle persone hanno vissuto, alcune più brevemente e altre invece hanno avuto la fortuna di restare tra noi più a lungo, sposarsi,avere figli o nipoti, che continuano a ricordare i loro antenati. Oggi vi parlerò di quello dell’Aquila, la mia città, tristemente famosa per il terremoto del 2009, che, a quanto pare, nasconde molti “segreti”.
Il camposanto si trova situato in Piazzale degli Olivetani, che prende il nome dall’ordine di monaci benedettini che anticamente se ne prendeva cura, offrendo cibo e riparo ai bisognosi e agli animali randagi che giravano nei dintorni per evitare che creassero problemi agli abitanti della città. Nello stesso piazzale si trova la Chiesa della Beata Vergine del Soccorso, detta “del cimitero”, ma che in realtà fu costruita ben 400 anni prima del cimitero stesso.
Prima della costruzione del camposanto a L’Aquila, i morti,soprattutto quelli più poveri, venivano sepolti nelle bare avvolti soltanto da un lenzuolo, mentre le persone ricche venivano sepolte nelle chiese che erano luoghi più adatti al loro rango, invece i monaci seppellivano i loro confratelli in una cappella situata all’interno del cimitero, dove in seguito furono seppellite persone comuni. Nelle giornate più calde, a causa della decomposizione dei corpi, si potevano osservare i cosiddetti “fuochi fatui”, delle luci di colore blu derivanti dalla combustione del metano e del fosfano. La zona viene chiamata “Via Campo Di Fossa” e fu usata sia per le esecuzioni capitali che per ospitare le baracche (all’epoca non c’erano le New Town come adesso) dei terremotati del 1461 e del 1703, alcuni dei quali provenienti dal comune di Fossa (il nome infatti deriva sia dalle sepolture che da questa parte della città). Per questi motivi si narra che sulla zona non furono mai costruiti palazzi, nonostante fosse un posto molto soleggiato, ed è da tutti considerata maledetta. Si dice che questa “maledizione” (non in senso letterale) sarà spezzata soltanto quando tutte le chiese, i conventi e i monasteri di questa zona scompariranno a causa di terremoti o per cambio di destinazione d’uso. Tutto questo è riportato nel libro “L’Emiciclo” di Errico Centofanti, giornalista e co-fondatore del Teatro Stabile dell’Aquila.
Tutto cambiò con l’arrivo di Napoleone, il quale, il 12 giugno 1804 a Saint-Cloud emanò un editto chiamato “Decreto imperiale sulle sepolture” ma conosciuto come “Editto di Saint-Cloud” in cui si riunivano tutte insieme le varie norme sui cimiteri e si stabiliva che le tombe dovessero essere ubicate al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati e che fossero tutte uguali per evitare discriminazioni tra i morti. Per i defunti più celebri,invece, una commissione di magistrati decideva se apporre anche un epitaffio. La scelta del terreno su cui edificare il cimitero dell’Aquila ricadde, dopo aver scartato altri due posti, proprio su quello dei monaci, i quali,dopo una disputa durata 60 anni, lo lasciarono con l’opzione che uno di loro sarebbe però rimasto ad occuparsene.
Arriviamo finalmente all’anno 1982, sperando di non avervi annoiati…a morte tanto per restare in tema, quando un bambino di nome Andrea De Petris, di soli 8 anni, si trasferisce nel quartiere della Torretta, dove,secondo quanto ci ha riferito, all’epoca non c’era nulla, nè illuminazione e nemmeno le strade asfaltate. Non essendoci nei dintorni niente di bello da vedere o di interessante da fare, decide,insieme ad altri suoi coetanei di esplorare il cimitero (chi non lo sceglierebbe come luogo di divertimento;) Col passare del tempo e diventando più adulto, questa passione non svanisce,ma anzi si rafforza, tanto che Andrea si documenta sulla storia del cimitero e decide di organizzare delle vere e proprie “passeggiate” per farne conoscere la storia. Questi tour sono continuati fino al 2009, quando ci fu il terremoto, per essere poi ripresi qualche anno dopo, coinvolgendo anche persone esperte oltre a semplici curiosi.
La sepoltura sicuramente più importante è quella dello scrittore,poeta e giurista tedesco Karl Heinrich Ulrichs, che è considerato il primo omosessuale dichiarato dell’Occidente, poichè non fece mistero delle sue preferenze e per questo fu anche imprigionato e i suoi libri sequestrati. Nel 2015, grazie ad una coppia veronese, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Verona e con la supervisione della sezione aquilana dell’Arcigay, sono iniziati i lavori per la restaurazione della tomba,terminati nel giugno 2017. Questa tomba è meta ogni anno di molti pellegrinaggi e ogni anno, l’ultima domenica di agosto, vi si tiene una cerimonia commemorativa, per mantenere vivo l’impegno affinchè l’omofobia si estingua dalla società.
Proseguendo oltre, troviamo la tomba del famoso violinista aquilano Francesco Santavicca, che purtroppo ora è annerita dal tempo, essendo vissuto nel 1864 e morto nel 1924. Il nome e l’epitaffio sono a malapena leggibili e resta visibile solo l’immagine scolpita di alcune corde di violino. Da alcune ricerche fatte abbiamo saputo che era molto più famoso all’estero, specialmente in Francia e Germania, e sembrerebbe, ma questo è da verificare, che abbia fatto la comparsa in un film d’amore tedesco in cui qualcuno lo avrebbe sentito parlare,ma in un’epoca in cui il sonoro ancora non c’era.
Passeggiando di mistero in mistero, arriviamo alle lapidi di due giovani, Giovanna e Vittorio Aristarco, lui deceduto a cinque anni dalla morte di lei. Fin qui niente di strano,se non fosse che le loro lapidi sono state inchiodate verticalmente con dei bulloni sopra delle tombe preesistenti e di cui spuntano alcune lettere. Chi si nasconde lì sotto? Saranno forse stati dei parenti? Lo scopriremo solo vivendo…
La penultima tomba che sancisce la fine della nostra passeggiata (e anche del mio lunghissimo sproloquio) sono quelle di una famosa e giovane (infatti deceduta a soli 28 anni) cantante, attrice e imprenditrice aquilana,Paolina Giorgi, nome d’arte di Francesca Chiodi. La ragazza era nata povera e cominciò a lavorare come stiratrice, ebbe un figlio, purtroppo morto in culla, da una relazione con un aristocratico cittadino. A soli 16 anni si trasferì a Roma, guadagnandosi una discreta fama come “sciantosa” termine derivante dal francese “chanteuse” per indicare delle donne che eseguivano nei cafè-chantant (spettacoli di varietà) dei brani tratti da opere liriche, e annoverando tra i suoi ammiratori anche Gabriele D’Annunzio. Con i suoi primi guadagni, insieme con i fratelli e la sorella, aprì a L’Aquila la società Chiodi & Capranica, che per molto tempo gestì i trasporti cittadini. Venne purtroppo uccisa mentre si trovava nel lido di Albaro (Genova), Venerdi 13 (mi aspetto Jason che spunti da qualche parte) gennaio 1911 alle 3 del pomeriggio, da un suo pretendente argentino di 26 anni, da lei sempre respinto, di nome Fermìn Carrera, che poi si tolse la vita sparandosi un colpo di rivoltella al torace.
E ora squillo di trombe per il vero mistero del cimitero (ho fatto anche la rima), ovvero la tomba di una ragazza, Fernanda Benetti, nata a Padova nel 1900 e deceduta a L’Aquila nella sua casa di Via Roma (che all’epoca si chiamava Via Romana) 112 per cause tutt’oggi sconosciute. La cosa più inquietante di questa tomba è che qualcuno, 50 anni dopo la sua morte, con uno scalpello,ha rimosso la foto dalla lapide e ha lasciato delle strane scritte con una matita indelebile da carpentiere: una dice solo “1968” con una freccia che parte dalla foto stessa (forse la ragazza indossava qualcosa di particolare?), la data in cui sarebbe avvenuto il furto “notte 29-30 novembre 1979” e un’altra scritta dal significato per noi ancora oscuro “Conoscevo solo S.Antonio”(forse un riferimento alla sua città natale, Padova).
In attesa di trovare qualcuno che sveli questo mistero, Andrea,che nella vita suona la chitarra e recita a teatro, lo scorso 29 novembre 2019, ha portato in scena una piccola rappresentazione di cosa potrebbe aver portato quel qualcuno a compiere quel gesto scellerato. La storia , ovviamente ipotetica, ma che comunque era plausibile, parla di una coppia di giovani fidanzati padovani che in un’osteria incontrano un uomo che si presenta come il fratello di Fernanda. Saputo che il ragazzo era stato mandato a L’Aquila per il servizio di leva, propone loro, dietro adeguato compenso, di rubare la foto della sua amata sorella dalla tomba poichè in quella città non aveva più parenti che la potessero ricordare. I due ragazzi accettano, e come nei migliori film, gli propongono di avere la metà dei soldi adesso e l’altra metà a lavoro terminato (dopotutto in un cimitero, a notte fonda,chi vuoi che faccia la spia). Dieci anni dopo il “fattaccio” per usare un eufemismo, in cui nessuno ha segnalato la sparizione della foto,i due fidanzati si recano di nuovo a Padova e tornano nell’osteria dove avevano incontrato il “fratello” di Fernanda, che alla fine aveva svelato loro che era in realtà il promesso sposo. L’uomo gli dice che vorrebbe tornare a visitare la tomba dell’amata e riparte per L’Aquila con loro. Lasciati i due ragazzi alle loro faccende, si reca in una famosa cantina dell’Aquila, “Ju Boss”, in cui tra una chiacchiera e l’altra fa la conoscenza di due uomini che, equivocando l’uno i discorsi dell’altro, dicono di essere stati entrambi in passato amanti proprio della giovane, facendo anche intendere che le piacesse anche bere. Il povero fratello/fidanzato non crede alle sue orecchie, dice che non è possibile che la sua amata fosse come la descrivono loro, che lei gli scriveva lettere d’amore mentre erano lontani, ma i due insistono anche in modo molto dettagliato. L’uomo,allora,arrabbiato con la sua mancata sposa e sentendosi tradito, si fa indicare dov’è sepolta, e non contento dell’oltraggio fatto alla sua memoria dieci anni prima, danneggia ulteriormente la sua tomba. Mentre l’uomo è impegnato in quest’altra deplorevole azione (anche qui silenzio di tomba sulla vicenda), scopriamo che in realtà i due amici aquilani non stavano parlando di Fernanda, ma quello che aveva iniziato il discorso, parlava di un’altra ragazza padovana, ma non avendone fatto il nome, l’amico gli è andato dietro a vantarsi di una conquista mai avvenuta. Lo spettacolo si chiude con la voce flebile della defunta che dice al suo promesso sposo che lei è morta per amore aspettandolo.
Come nei migliori film c’è stato un colpo di scena, che però purtroppo non ha portato ad un lieto fine. Ringrazio personalmente Andrea per avermi fatto scoprire queste storie, essendo appassionata di misteri ,siano essi sovrannaturali e non , e ringrazio i miei boss che hanno accettato di farmi scrivere questo articolo, facendo finta che io sia una giornalista vera 😉
Un ringraziamento particolare va al professor Roberto Giulio Manilla per la sua collaborazione nella ricerca di informazioni sul violinista aquilano. Francesco Santavicca
Fonti: AndreaDePetris, Wikipedia , IlCapoluogo, AngeloDeNicola , Virtuquotidiane , Giulianovanews ,