Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Nel 1976, nel periodo della transizione spagnola, Manolo e Candela Olmedo si trasferiscono assieme ai loro tre figli e al nonno in un appartamento nel centro di Madrid, nel quartiere Malasaña al civico 32 di Calle de Manuela Malasaña. L’appartamento è grande ed economico e sia Manolo che Candela riescono a trovare subito lavoro nella nuova città. Tuttavia, fin dal loro arrivo, all’interno della casa si verificano strani eventi, culminati con l’improvvisa scomparsa del piccolo Rafael, il loro figlio minore. Gli Olmedo capiranno che la casa nasconde una presenza inquietante che inizierà a tormentarli.”
“Malasaña 32″ , questo il titolo originale della pellicola diretta da Albert Pintò, risulta un opera diversa dal solito. Lo si evince quasi immediatamente, attraverso sequenze realizzate in modo molto meticoloso e colme di senso del gusto estetico. La trama, di per se, non sembra garantire chissà quale fitta rete, ma risulta capace di intrattenere e specialmente mantenere altissima l’attenzione del pubblico. Le difficoltà di un preciso e delicato periodo storico vengono sostenute attraverso l’utilizzo quasi “in costume” dei protagonisti, abili nel coprire i ruoli assegnati con grande sapienza, dando alla narrazione del film una grossa mano ai fini della buona realizzazione non solo per il “film di genere” fine a se stesso, ma anche attraverso un tema sociale ben strutturato ed articolato in pochi semplici passaggi. L’aspetto paranormale viene “riassunto” nelle primissime battute, lasciando all’opera tutto il tempo di contestualizzare quasi manualmente le “nuove ondate” di Jump Scare. Questo fattore è comune a tantissime produzioni di recente periodo e, proprio su queste, il regista gioca con la mente dello spettatore; ingannandolo più e più volte: Se, schematicamente parlando, il pubblico è stato abituato al classico “vedo/non vedo”…Albert Pintò inverte la rotta e ringhia in faccia al pubblico, offrendo quello che in teoria ci si dovrebbe aspettare ma che non viene quasi mai dato. Questa controtendenza viene collocata in quasi tutti i momenti di “orrore” e proprio per questo il film risulta incredibilmente piacevole. Possession ha, dalla sua parte, una quantità altissima di differenze rispetto ai suoi Omonimi; a partire dalla location e in particolar modo dalle luci utilizzate su di essa ; quasi intima e totalmente orfana di color correction e aspetti sinistri : la pellicola offre un contesto realmente plausibile, dando al pubblico un modo di potersi ritrovare e sentirsi parte di un qualcosa di tangibile. Le rivelazioni dell’inquietantissima figura, che tormenterà la famiglia, viene esposta elegantemente su di un tappeto emotivo calibrato a dovere, tenendo l’asticella del brivido su gradi passi, interagendo in terza persona con la mente dello spettatore totalmente calato nella parte e dando al film una forma oltre che una sostanza. Questa particolarità fa, di questo film, un tassello da tenere sempre a mente, non snaturando mai “IL genere” : imprimendo una patinatura quasi retrò riesce a rendersi datato nell’aspetto ma originale nella costruzione. Ovviamente le citazioni ai grandi classici sono sparse su molteplici sequenze, ma non per questo ricalca a copia carbone i cult; d’altra parte su di una casa, infestata da presenze, non ci si può aspettare chissà quale complessità; eppure Possession – L’appartamento del Diavolo ha seriamente qualcosa da dire, con la sua pacatezza e la sua morbida rete di momenti adrenalinici.
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