LASCIATEVI TERRHORRORIZZARE

Nosferatu : La Tenebrosa Ombra di Robert Eggers [RECENSIONE SPOILER]

Articolo a cura di | Alessandro Pesce

“Un racconto gotico sull’ossessione tra una giovane donna tormentata e il terrificante vampiro che si è infatuato di lei, provocando un indicibile orrore.”

Il grande sogno di Robert Eggers riesce a prendere vita. Il regista Statunitense, classe 1983, disegna quella titanica impresa annunciata in tempi non sospetti, accarezzando la maestosa consapevolezza di arrivare, probabilmente, fuori tempo massimo sul tema prefisso. Dopo una striscia di combinazioni vincenti e superando quella regola non scritta “dei” tre (Esordio, Conferma, Consacrazione) giunge in quella sorta di limbo semi obbligatorio del doversi cimentare con un pilastro del Cinema e scontrarsi con la feroce critica, pronta a gettarlo nel fossato della comparazione, con la giusta dose di riserve, dettate proprio da quel passato rigoglioso capace di generare una sorta di corazza invisibile sulle proprie spalle. Robert Eggers arriva al quarto atto con un carico di responsabilità non indifferente, cercando di dare lustro alla figura del vampiro distaccandosi dalla Nuova Hollywood, prendendo per mano il senso primordiale di animalesca persecuzione sotto una particolare sensualità colma di un amore sepolto nei secoli, portando il tutto ai giorni nostri attraverso una meccanismo che di contemporaneità ha, davvero, ben poco. Nosferatu arriva al cinema sotto freddissime luci nauseabonde, catalizzando e caratterizzando una Germania ottocentesca in modo raffinato dove non è difficile immergersi, emotivamente, dopo soli pochissimi minuti di girato. La mano del regista è tetra come l’ombra del conte, prendendo alla gola lo sguardo dello spettatore e soffocando la speranza di un finale romantico; utile per sole esigenze di mercato. Nosferatu è pura brutalità sotto un romanticismo disonesto e possessivo che gioca con la sua preda sotto un narcisistico sguardo verso la noncuranza del prossimo, regalando una controversa poetica di un amore malato, disturbato e disturbante. I protagonisti di questo racconto sposano la causa del regista come una coreografia, alternandosi, all’occorrenza, sotto una sinfonia macabra dove tutti sono, in qualche modo, protagonisti: Nicholas Hoult , Aaron Taylor-Johnson, Willem Dafoe, Emma Corrin, Ralph Ineson e, in modo particolare, Bill Skarsgård e Lily-Rose Depp, riescono ad avere i propri spazi non invadendo il sentiero di nessuno. Ogni character ha il suo lungo minutaggio (con le dovute e necessarie scelte narrative di chi deve portare avanti il racconto) rendendo quasi disorientante la quiete di un lessico tanto basilare quanto articolato per caratteristiche (note) stilistiche del regista, infondendo, così, una chiave di lettura chiara ma non per questo scontata. Chiaramente gli acuti e gli assoli sono concentrati sul Conte (Skarsgård) e Ellen (Depp) in una maniera talmente delicata da rendere inquietanti anche singoli Frame dove la trama stenta ad invocare un parlato non del tutto necessario. Le prove attoriali dei due tenori è caratterizzato da sequenze che squarciano lo schermo; azioni dove la frenetica instabilità mentale della ragazza si contrappone alla quiete secolare del vampiro, giocando ad un eterno inseguimento dove le forme d’amore si spezzano su incantesimi morbosi e muscolari, sterzando su consapevolezze sacrificali alla quale non si può fuggire senza conseguenze. Le atmosfere dove si gioca questa sfida è affidata alla cruda fedeltà del romanzo, riuscendo ad esprimere quell’umidità capace di sfondare quasi la quarta parete, in un modo talmente naturale che sta diventando (sempre di più) un marchio del regista. Tutti i toni sono aspri e grigi, ricalcando ogni aspetto che, nel corso delle decadi, ha caratterizzato le precedenti rappresentazioni, regalando tributi al classicismo orrorifico facilmente riconoscibili : si passa da temperature glaciali quasi in bianco e nero sui temi della Romania (1922 Murnau), attraversando il calore del fuoco su ambienti chiusi (1993 Coppola), inquadrature in soggettiva sul movimento delle mani (1931 Browning), aspetti che di umano han davvero ben poco sulla figura del vampiro (1979 Herzog) e addirittura strizzando l’occhio ad opere dove il Gotico e il Thriller più puro riescono a distaccarsi dall’emblema di massima esposizione con velate citazioni a Kubrik e Bava. Nosferatu di Robert Eggers è un titolo che necessita grandissima concentrazione pur non costringendone l’azione: tutto scorre in maniera assolutamente naturale, offrendo grande cinema in cambio di un semplice sguardo o un gesto di ammirazione verso una forma d’arte che sembra scadere, sempre di più, al servizio di un industria famelica di volute distrazioni e irrispettose chiacchiere sui silenzi necessari all’atmosfera. Eggers riporta il Gotico su una dimensione ormai non più terrena e regala una propria visione, non distaccandosi dalla forma originale, mantenendo il tratto caratteristico delle proprie opere e mettendo in pratica tutti i propri gironi infernali in modo coerente, non abusandone l’essenza grammaticale, anzi, completando quel discorso partito nel lontano 2015 attraverso una cura estetica capace di renderlo l’unico in grado di poter gestire un fardello così grande. La gestione delle inquadrature, le lunghe pause che accompagnano l’introduzione del vampiro, il voler sempre tenere sfocata la propria manifestazione, l’infinita scelta di caratterizzazione della profondissima voce di Bill Skarsgård (e qui la scelta di volerlo/doverlo riguardare in lingua originale), le disturbanti scene di convulsioni della povera Hellen, la funambolica interpretazione di Willem Dafoe nei panni del Professor Von Franz, il tormento e il senso di colpa di Thomas Hutter, sono parte di un lavoro amplificato dalla cornice di una colonna sonora capace di attenuare il proprio lamento su pause dove il silenzio diventa, anch’esso, parte caratteristica della composizione. Il Film vive sotto una pioggia incessante dove l’acqua si mescola al sangue e il sangue alla follia su di un’epidemia abile a celarne l’artefice e dove il maligno gioca la sua personalissima battaglia contro il suo stesso male : l’amore. La poetica distorta di questo sentimento si affaccia con uno stranissimo senso d’appartenenza che, ora, potrebbe risultare e/o definire “oopart” ; un concetto, intrinseco, che rendeva la donna priva di libertà di scelta e che, invece, nell’opera, ha un ramificato e spiccato accento esclamativo tanto da renderlo quasi matrice d’esposizione finale. Attenzione però a non confondere questo aspetto come curvatura corporea alle esigenze contemporanee cinematografiche, perché la guerra emotiva della giovane Hellen si sviluppa tutta nella propria testa, dando così un perfetto senso di rivalsa verso un silenzio obbligato di una società retrograda, dando, così, voce a chi voce non ha mai avuto. Il dualismo di questa scelta quasi obbligata di accogliere il vampiro nella propria abitazione (l’eterno amore) con volontà spontanea, riconduce l’iconografia vampiresca sotto una luce differente, sfiorandone solo per comodo, il tenue filo di quell’Inghilterra anni 70 capace di rielaborare e rimescolare con autorialità (Hammer Production) il mito dietro la leggenda e del suo invito per entrare dentro la dimora (qui invece nella mente) del malcapitato di turno. Nosferatu di Eggers, dal canto suo, reinventa il Mostro studiando a fondo la cultura e il Folklore rumeno, mantenendo fedeli gli aspetti caratteristici, usi e costumi e decidendo, addirittura, di prendersi una responsabilità grande quanto un castello : cambiare l’aspetto del vampiro. Il Conte Orlok si distacca quasi completamente dai propri omonimi cinematografici, assumendo tratti somatici facilmente riconoscibili nella figura di Vlad Tepes (che di Dracula ne è il gene primario); il principe della Valacchia; dando così una fedeltà quasi storica alla figura e prendendo per mano quell’eredità mai riconosciuta al lavoro (rieditato per le note ragioni di diritti) di Friedrich Wilhelm Murnau. Questa piccola “vendetta” assume i connotati di attribuzione all’Opera del 1922, esponendo un Orlok con le sembianze (precise riga per riga) al vampiro Dracula di Stoker, riassegnando un titolo ereditario dovuto e finalmente esposto in tutta la sua maestosità: dai costumi al già citato taglio fisico, aggiungendo una voce talmente profonda da rendere putrida anche la rosa più abbagliante. Marciume, polvere, malattia, sangue infetto, decomposizione, sporcizia, sono, infatti, gli aspetti che accompagnano la figura del Mostro, costringendo lo sguardo del pubblico all’abbandono più totale e celebrando la morte della vita come stemma di un casato nobiliare destinato all’immortalità. Questa esperienza sensoriale ha la grandissima capacità di raccontare un qualcosa di “già visto” pur separandosene senza il minimo timore e offrendo una carnalità probabilmente indigesta allo sguardo di chi avrebbe voluto un copia/incolla dei due celebri Omonimi. In questo racconto il sesso e la crudeltà sono parte della stessa facciata, pur non essendo della stessa forma, eppure Eggers riesce a dare un senso poetico e romantico alla violenza visiva degli atti, dando una giustificazione celata ai fini di una trama sempre più in declino verso la disperazione. L’atto conclusivo, con l’amplesso di Hellen, per quanto possa sembrare crudele, racchiude tutto lo spirito di Amore : la donna si sacrifica e si concede al vampiro come una trappola mortale e il vampiro che, proprio per amore non riesce a togliere il proprio corpo dalla donna : una celebrazione di vita e di morte raggruppati in una sola singola sequenza capace di riassumere tutta l’essenza dell’Opera. 

Nosferatu non cerca paragoni con le opere del passato (e non sarebbe neanche giusto farlo), ne trae ispirazione e ne ricama un viaggio tutto proprio, con le proprie esperienze e con le dovute pause di giudizio speculare. Robert Eggers regala un vampiro tutto nuovo che, per quanto caratterizzato poco riesce a manifestare la propria presenza ANCHE in sua stessa assenza. La potenza visiva di queste caratteristiche non devono passare sotto i gelidi ponti dell’indifferenza perché la paura è presente in molteplici maniere anche senza l’ausilio di scene gore. Il sangue ovviamente non manca, ma non è questo che fa di (questo) Nosferatu un film sulla celebre creatura della notte; Nosferatu è un film sui vampiri, anzi, SUL vampiro, proprio perché riesce ad entrare dentro la testa pur rimanendo nascosto all’interno di una cassa su di una Demeter carica di lerciume pestilenziale mantenendo un mutismo capace di dire e raccontare ogni sua perfida intenzione.

Eggers si dimostra, ancora, uno dei maggiori esponenti dell’estetica spettrale, cambiando pelle all’occorrenza scelta, rimanendo fedele e coerente con la propria etica e sfidando la critica come solo i grandi possono e riescono a fare. Un film, senza dubbio, coraggioso che verrà ricordato per la grande complessità e per l’altissima volontà di volerlo elaborare con i propri pensieri senza snaturarne l’origine.

Di certo non perfetto ma di grande, alto, altissimo livello. Già annunciata una versione estesa che raccoglie il film nella sua veduta originale.

Nosferatu di Robert Eggers è pura rappresentazione del Male.

 

 

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-OTTIMO secondo il Nostro Particolare Metodo di Valutazione in HORROR STAB-

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