Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Dopo aver assistito al drammatico incidente subito da un paziente, la dottoressa Cotter inizia ad essere la protagonista di alcuni eventi terrificanti. Rose deve affrontare il suo passato per sopravvivere alla sua nuova, terrificante realtà.”
Dalla regia del 35enne Parker Finn arriva, grazie a Plaion Pictures, un lavoro capace di dividere perfettamente a metà l’opinione della critica : Smile. Un film coltivato dalla diffidenza anche per il serrato Marketing come supporto di distribuzione : quando il mercato (il grande mercato) decide di forzare la mano su di “un qualcosa” (a livello filmico ), appartenente al mondo dell’Horror, novantanove volte su cento il prodotto finale è di catalogazione Teen e/o comunque non del tutto completamente accettabile (per essere buoni), creando un circolo vizioso visto e rivisto durante gli ultimi 25 anni con poche eccezioni a proprio favore. La difficoltà del cinema Mainstream è catalizzata proprio dalla forte componente di giudizio di un pubblico ormai “svezzato”, un pubblico cresciuto, capace di applicare un’analisi più o meno obbiettiva e che, nei casi che vanno per la maggiore, abituato alla mediocrità o più semplicemente capace di accontentarsi, restituendo il rimbalzo proprio al film stesso, complice di una colpa legalizzata alla semplicistica esposizione di operato, dando, come risultato, un’anonimato (in alcune circostanze) non del tutto meritato. Smile si colloca in quella categoria del “si è applicato ma avrebbe potuto dare di più” e, proprio per questo motivo finito (o lo farà) nell’ultima categoria sopraindicata confermando la regola non scritta con una percentuale spietata di margine di errore pari a zero. Smile cerca di difendersi con le unghie e con i denti da questa ragnatela e, per certi versi riesce anche nell’ardua impresa, dando al film uno spirito di autorialità piacevole e che denota un effettiva voce imponente, segno che qualcosa brilla in fondo al nero tunnel del Teen Horror di matrice prettamente JumpScare, scuotendo la testa come negazione alla confusione della (e dalla) mischia. Parker Finn mette in scena un’opera che, nella sua semplicità, scava nel buio della mente umana, portando una contemporaneità spietata attraverso una messa in scena ben strutturata che macina minutaggio dando piccole briciole di narrazione. Il lento processo di gestione del TimeRunning è saggiamente retto dalla buona interpretazione attoriale di Sosie Bacon, comoda nel proprio ruolo e sempre profondamente concentrata a dare il massimo sotto ogni micro espressione. La follia dentro la follia appare come un incubo tangibile, sporco, infido nell’inganno e spietato sotto l’ipocrisia di un mondo in caduta libera verso il fondo dell’inferno. Smile prende i reali avvenimenti recenti e li confonde con la creazione di una maschera sorridente, pronta a spezzare lo stato di coscienza repressa dentro mura dalle quali è impossibile uscirne con tutte le ossa integre, costruendo una catena purtroppo fin troppo riconoscibile. L’opera ha il difficilissimo compito di mantenere alta la fedeltà della propria natura; mettendosi al servizio delle richieste del mercato moderno e cercando di tirare fuori la testa dall’acqua come motivo di ribellione in cui c’è effettivamente qualcosa da raccontare dietro tutta l’impalcatura; collocando in modo completamente sparso una sceneggiatura (con battute annesse) curata e intelligente, assecondando la precisa stabilità di inquadrature chirurgiche. Proprio l’aspetto visivo è (e ci mancherebbe altro) il vero motore di questo film, forte di una produzione importante e che non ammette smisurate sbavature, abile nell’equilibrare determinate mancanze con l’aspetto tecnico. La violenza è, infatti, gestita con grande senso del gusto, dando al pubblico immagini, si, forti, ma perfettamente a norma con il visto censura. Questo fattore porta il film ad uno step particolare, in cui l’eccessivo utilizzo di scene cruente viene posto sotto velocissimi frame, quindi non del tutto espliciti (violentissimi si ma non tanto da superare il limite consentito dalla catalogazione) e per questo vendibile sulla grande distribuzione cinematografica. Sicuramente da rivedere l’aspetto ironico cercato e ri cercato sui ruoli dei detective, posti completamente a caso su situazioni dove la presenza poteva benissimo essere risparmiata.
Smile intrattiene il pubblico con grande senso del ritmo e percorre sentieri non del tutto banali, riuscendo a confondere la mente del pubblico sotto un perenne senso di angoscia.