Articolo a cura di | Alessandro Pesce
“Jessica scappa dalla città nel disperato tentativo di far fronte alla perdita del defunto marito, ma viene rapita e rinchiusa nella cascina di un uomo misterioso. In fuga dalle grinfie di questo rapitore omicida, Jessica si ritrova nel cuore della selvaggia regione del nord-ovest del Pacifico dove avrà a disposizione il suo ingegno su cui fare affidamento per sopravvivere mentre il suo inseguitore si avvicina sempre di più”.
Il Film del 2020, diretto da John Hyams, rappresenta una sfrenata e adrenalinica caccia all’inseguimento. Un opera che, con i suoi musicali silenzi ambientali, porta lo spettatore dentro un claustrofobico gioco di perversione violenta. I protagonisti di questa vicenda mettono in scena un Revenge Movie di grandissimo impatto visivo, anche grazie ad una fotografia sempre attenta e limpida ai fini di una trama semplice e che fa della pazzia una costante pericolosamente inquietante. Jules Willcox, nel ruolo di Jessica, ricalca con gran maestria tutta l’espressione di paura, una stessa che muta e che, con gran forza, ruggisce una cattiveria colma di sentimento e ribellione nei confronti del proprio rapitore: il bravissimo (e mono espressivo giustificato) Marc Menchaca . Il duo attoriale definisce quanto sia poco indispensabile una gran quantità di comparse e folte narrazioni ai fini della trama quando l’idea di base regge da sola l’intera costruzione della storia. Le vicende si prendono il proprio tempo e vengono servite in modo esaustivo attraverso lunghe pause e pochi dialoghi, dando un inquietudine solitaria alla pellicola e caratterizzando i personaggi con semplici ma efficaci passaggi in campo. Le ambientazioni sono valorizzate da una perenne coscienza malsana, offrendo un empatia marcata poco comune al cinema attuale. Il regista, con i suoi 12 anni di carriera alle spalle ha, dalla sua parte, un bagaglio improntato sull’Action Movie grazie alla fortunata saga con Jean-Claude Van Damme “Universal Soldier” e, forse per questo merito, riesce a creare movimenti sempre focalizzati sulla corsa evidenziando un adrenalina mai banale. Il male è rappresentato da una follia fin troppo umana, riportando importanti tematiche sociali purtroppo ancora attuali ai giorni nostri. Folli persecutori e stalker compulsivi sono riassunti in un singolo individuo, capace di rendere fedelmente ogni aspetto psicotico del nostro coo-protagonista attraverso poche parole; Alone rende proprio per la sua continua sequenza di frame chiari e che non lasciano margine a dialoghi poco necessari. Il titolo gioca tanto sull’aspetto introspettivo del suo stesso termine e sottolinea i vari aspetti emotivi, sia dell’essere, sia dell’oggettività di rappresentazione fisica, soffocando la mente dello spettatore dentro un qualcosa alla quale è difficile sfuggire.
Alone è il classico Survivor Horror che non nasconde le complicate situazioni contemporanee, portandole a schermo con i suoi stereotipati clichè necessari alla causa: il male deve essere rappresentato come un qualcosa dalla difficile resa (il persecutore solo in poche occasioni cede alle continue percosse da parte della protagonista) e questo aspetto potrebbe in qualche modo disturbare lo spettatore meno attento. Lo scopo del racconto è proprio imprimere, a fuoco, questa difficile condizione, trasformandola in film di genere.
Un Film Lugubre e Incantevole.
STAB HORROR ITALY